25/10/07

Greet Helsen: la magia del colore

Pittrice svizzera ed educatrice staineriana, Greet Helsen si caratterizza per l'alto livello qualitativo delle sue composizioni astratte, tele raffinate che hanno come principale protagonista il colore.
Libertà, leggerezza, profondità spirituale, emozione, equilibrio, tutti elementi che contribuiscono a creare una miscela deflagrante, capace di comunicare sensazioni intense ed avvolgenti. Una libertà espressiva esaltata dai morbidi toni delle masse acquerellate, dai decisi accostamenti dei suoi colori acrilici, dai tracciati essenziali dei suoi disegni . Ho avuto il piacere di alloggiare in una delle stanze decorate con uno dei suoi dipinti e confesso che addormentarmi e risvegliarmi ammirando le luci di quel piccolo capolavoro ha contribuito a rendere indimenticabile il mio ultimo soggiorno a Basilea.
Nella sua opera si percepiscono forti suggestioni da parte dei grandi maestri dell'astrattismo dei primi anni del 900, anche se le tele più incisive sono felicemente radicate nella grande stagione pittorica dell'informale... un tributo in piena evoluzione ai fecondi anni '60.
L'artista, nata in Belgio nel 1962, vive e lavora a Dornach alle porte di Basilea (CH).

S.F.

Galleria: http://www.greethelsen.ch/bilder.html

"Nella cruna dell'ago" di Lorenzo Rosoli

Nell'era del neocapitalismo è possibile un uso cristiano dei soldi?
Ne hanno discusso teologi ed economisti in un convegno presso il monastero di Vallechiara qualche anno fa. Padre Salvini: il denaro non va demonizzato, ma impone cautela. Infantino: è uno strumento di libertà. Galli: in passato più attenti alla distribuzione che alla produzione della ricchezza. I cristiani e il denaro. Un decalogo per il nuovo secolo. Per risolvere un'ambivalenza che accompagna il cristianesimo fin dalle origini. Il denaro "sterco del diavolo". Il successo economico segno della benedizione divina. Come la mettiamo? Gesù chiede al giovane ricco di vendere tutto e seguirlo. Lo stesso Gesù che insegna a non sotterrare i "talenti", ma a "investirli".Che proclama: beati i poveri. E che viene tradito per trenta denari. I tempi cambiano. Globalizzazione, neocapitalismo, debito estero, "finanziarizzazione" dell'economia planetaria. Ma ci sono ancora uomini che si comprano e si vendono. Produzione e speculazione.Lavoro e profitto. Borsa e finanza, new economy e net economy.Ce n'è abbastanza per far girare la testa al più volonteroso dei credenti. E per arrivare alla conclusione che troppe cose passano sopra di noi, fuori dal nostro controllo, dal nostro potere. Dalla nostra responsabilità. Ma c'è chi non si arrende. Chi rilancia l'I care. Il denaro è mio e lo gestisco io. Come la Banca etica e la famiglia monastica benedettina che organizzano il convegno ospitato oggi al monastero di Vallechiara, a Lanuvio (Roma), "Denaro e fede cristiana: testimonianza ed impegno dei cristiani per un uso responsabile del denaro". Tra i relatori il vescovo di Locri-Gerace, Giancarlo Maria Bregantini, il fondatore del Gruppo Abele, don Luigi Ciotti, il gesuita padre Gianpaolo Salvini, direttore di Civiltà Cattolica, Daniele Garrone, della Facoltà teologica valdese di Roma. Ecco il punto: l'uso responsabile del denaro. "È un mezzo, non un fine. Non va demonizzato, ma impone cautela. Se non lo accostiamo in atteggiamento di conversione, ci porta dove vuole lui, fino a confidare più nel denaro che in Dio", sostiene Gianpaolo Salvini. Così sul piano personale. Ma sul piano "macro"? Le dimensioni e la complessità dell'economia contemporanea spesso allontanano il singolo da un'assunzione di responsabilità verso gli altri. "È vero, ci sono temi economici - come la globalizzazione - che la gente sente distanti. Il tema del debito estero invece sembra appassionare di più. Lo constato girando l'Italia a tenere incontri pubblici a sostegno della campagna della Conferenza episcopale italiana per la remissione del debito dei Paesi poveri - testimonia il gesuita -. Forse perché la realtà del debito è vicina alla nostra quotidianità, fatta di obbligazioni, mutui per la casa e così via. Al livello micro come al macroeconomico, il debito può essere uno strumento positivo.Come insegna l'esperienza della Grameen Bank fondata dall'economista pakistano Mohammed Yunus, che non regala soldi ai poveri ma presta piccole somme a sostegno dell'iniziativa economica". Dunque: non chiamarsi fuori dal "gioco". Ma cercare nuovi modi per giocarlo. "E qui i cattolici devono fare di più", è l'opinione di Giancarlo Galli, giornalista economico e scrittore (fatica recente e fortunata, il libro La fabbrica dei soldi, Mondadori, alla sesta edizione). "Fin dai tempi della Rerum novarum, siamo sollecitati a cercare vie terze rispetto al socialismo e al liberismo. Ma ci vuole più impegno. Nelle università, sul piano intellettuale, della ricerca, della teoria e della sperimentazione. A denunciare le storture, siamo bravi. A parole siamo bravi. Ma quando un cattolico assume ruoli importanti, poi si comporta come gli altri".Il problema? "Nella tradizione c'è più attenzione al tema della distribuzione che a quello della produzione della ricchezza". E rispetto al denaro? "Dobbiamo finalmente deciderci se considerarlo una cosa diabolica o una "benedizione"". E Giancarlo Galli che rapporto ha con il denaro? "Io non ho portafogli. I soldi li tengo in tasca. Sono da spendere, non da accumulare. Il risparmio? Non è una virtù, è l'anticamera della grettezza. Un mio amico musulmano, marabutto marocchino, diceva: le bare non hanno tasche. Il denaro non va idolatrato, va speso. Così si crea ricchezza. Qui Keynes è ancora valido". E nel decalogo per il nuovo secolo, cosa ci mettiamo? "Innanzitutto l'attenzione alla qualità e alla tipologia del profitto". Il convegno di Vallechiara ha un'introduzione evangelica.Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, commenterà la pagina delle Beatitudini. Poi, nel pomeriggio, la parabola del buon samaritano. "Luca dice: beati i poveri. È un initium pregnans.Come a dire: non è possibile vivere le altre beatitudini se si ignora la prima - spiega padre Gargano -. Matteo ci dice di più: è possibile essere "poveri di Dio" nonostante il possesso del denaro.L'importante è che non sia il denaro a possedere noi". Allora: beati anche i ricchi? "I soldi devono essere usati per servire i poveri e mettersi in relazione con loro, ma denaro e capitalismo non vanno demonizzati. La strada maestra resta Gesù: solo il seme che muore dà frutto. Una lezione che può essere trasportata nei comportamenti economici, là dove l'investimento produce frutto, e il denaro viene impiegato con intelligenza e lungimiranza". "Il denaro? Intanto è il segno della mutua dipendenza tra gli uomini, della loro indigenza e della necessità della cooperazione.Poi è uno strumento di libertà - afferma Lorenzo Infantino, professore di filosofia delle scienze sociali alla Luiss di Roma -. Il denaro è uno strumento. E un indice della nostra capacità di servire gli altri. Georg Simmel, nella Filosofia del denaro, ci mostra come esso si inserisce nella trama sociale". Il limite? "Si esce dall'etica cristiana - e da quella civile - quando il denaro è il frutto dell'avventura, della pirateria, della prebenda". Per Infantino non abbiamo bisogno di altri "decaloghi". "Come cristiani abbiamo già il criterio: il denaro come risultato di un servizio agli altri". E per l'industriale Francesco Merloni, presidente dell'Unione cristiana imprenditori e dirigenti? "Investire denaro per avere un rendimento è giusto. Ma bisogna stare attenti che la speculazione non danneggi gli altri e che non nasconda lo sfruttamento". Ma ciò richiede un grado maggiore di democrazia economica, di trasparenza dei processi produttivi e dei fenomeni finanziari. "Sì, ci vogliono più trasparenza e più informazione. In Italia abbiamo fatto passi avanti, in borsa non c'è più il "parco buoi" di un tempo.Ma abbiamo ancora molta strada da fare rispetto ai sistemi anglosassoni". La globalizzazione? La finanza internazionale? "Realtà positive. Ma hanno bisogno di regole, concertate fra i governi, la società civile, le imprese e le banche. Solo così - ad esempio - potremo introdurre soluzioni come la Tobin tax sulle transazioni internazionali, che oggi sfuggono a qualsiasi imposizione. E su questi temi i cattolici possono dare un contributo importante".

"Il denaro e il tempio" di Massimo Cacciari

La riflessione di padre Silvano Fausti può dire qualcosa su che cos’è il denaro oggi? Il termine denaro, così generale, esprime davvero un’essenza unica, cioè quello all’epoca di Gesù equivale al nostro? La filosofia moderna si è soffermata a lungo, con tantissimi scritti, sul denaro, ad esempio c’è un libro bellissimo di sociologia della vita contemporanea di Georg Simmel appunto “filosofia del denaro”. Tutta la discussione moderna sul denaro sottolinea una radicale rottura di continuità, cioè quello di cui noi oggi parliamo non ha nulla a cui vedere con quello di cui parlava Gesù. La differenza si potrebbe schematizzare così. Il denaro era strumento e mezzo per acquisire beni, ciò che davvero contava era il bene e, per dirla secondo Karl Marx, era valore d’uso. Il sistema di produzione era indubitabilmente rivolto alla produzione di questi determinati beni: i bona. I bona in cui uno può rimanere incantato diventavano degli impedimenta, perché impedivano di procedere verso la salvezza. Quando si parlava di bona si intendevano i beni nel senso di questo palazzo, queste vesti. Nel mondo moderno contemporaneo succede qualcosa di assolutamente sconvolgente, subito compreso dall’economia politica classica e dalla filosofica. Qual è questa rivoluzione sconvolgente e concettuale? A me come produttore non interessa produrre dei beni, essi non sono affatto il fine della mia produzione, perché tale fine è il denaro. Il denaro cessa di essere lo strumento per diventare un fine. Esso mi serve per iniziare la produzione, che è la fase intermedia giungere ad un danaro moltiplicato rispetto a quello che avevo all’inizio. I beni che produco e il sistema di produzione sono del tutto indifferenti rispetto a questa finalità. A me interessa produrre qualcosa che alla fine del ciclo mi faccia ottenere del denaro in più. Questo sconvolge il ragionamento classico e medievale intorno al danaro che non è più semplicemente l’equivalente dei beni, ma è visto come qualcosa che mi permette, usandolo correttamente in senso economico, di ottenerne di più. Appare una forza nuova e sconvolgente del denaro che diventa un fine, non secondo un eterno ripetersi dell’uguale, ma un movimento progressivo a spirale: io devo ottenere più denaro e la produzione è in mazzo in funzione al fatto che alla fine del ciclo debba esserci più di quello che ho investito. La mia produzione non è diretta a questo o quel prodotto ma diretta ad ottenere maggior guadagni. Questa è la forma odierna del denaro. La conseguenza di straordinaria importanza di questo ragionamento è che qualsiasi discorso meramente economicistico non tiene. Questo sistema sradica il danaro da ogni forma di qualità rendendolo fine in sé, levandolo dalla determinatezza che assumeva, e questa è proprio la filosofia della finanza contemporanea, la sua straordinaria mobilità, il suo essere internazionale, al di là di ogni determinatezza, di spazio, di luogo di tempo. Queste straordinarie caratteristiche che via via sempre più prepotentemente acquista la finanza, il sistema di produzione contemporaneo, derivano dalla novità con cui il denaro viene vissuto. La conseguenza è che io non perseguo più il fine di avere denaro perché sono interessato all’acquisto di qualche determinato bene, ma perseguo la finalità di averlo perché questo diventa il segno inequivocabile della mia potenza. Qualsiasi argomento puramente economicistico intorno al denaro nella sua nuova forma è materialismo volgare. Il grande finanziere contemporaneo può essere indifferente rispetto ai bona o considerarli impedimenta altrettanto di un santo. Ciò che il denaro per lui significa è potenza, straordinaria mobilità. La sua potenza viene risarcita dal possesso del denaro, che poi di conseguenza lui abbia anche un sacco di bona questo non è rilevante. È per qualcosa di più serio e più peccaminoso da un punto di vista cristiano, perché è un risarcimento pieno di Sé come qualcosa di assolutamente mobile, una potenza sradicata dalla determinatezza, assolutamente libera e padrona di sé. È per questo che nel mondo moderno si persegue la finalità di avere sempre più denaro non per acquisire questo o quello perché è il denaro in sé in cui riconosco la mia potenza di essere ovunque, di potere qualunque cosa, di essere al di là di ogni determinatezza di spazio e di tempo, quelle in cui invece nascono crescono e crepano i comuni mortali. Questa è la forza e la potenza del nuove denaro. Come contrapporsi a questa potenza e a questa filosofia del denaro? Secondo la mia ottica occorre comprendere che non possiamo in alcun modo parlare del denaro in modo generico perché questo denaro con cui oggi viviamo è un altra cosa rispetto al concetto degli antichi o che avevamo fino alla grande trasformazione economica, produttiva e sociale tra 600-700. Un periodo segnato da una serie di filosofie che riconoscono i nostri appetiti come buoni nel senso che ognuno inseguendo il proprio utile individuale può collaborare al fine del bene comune, seguendo il proprio appetito individuale. Questo è il paradosso filosofico dell’economia politica contemporanea in tutte le sue versioni. Da un punto di vista filosofico si può soltanto seguire la logica di questo ragionamento che vede nel denaro lo spirito che permea di sé tutte le nostre relazioni, che determina la nostra vita. Diceva Georg Simmel una vita come vita totalmente spiritualizzata perché non si determina mai, come il denaro che non sta mai, che deve sempre correre. È un soffio che invade tutto e che nessuno può definire o confinare nelle esperienze che facciamo. Lo spirito della finanza contemporanea è questo. Questa potenza straordinaria del denaro non ci ha permeato tutti del suo spirito? Se facciamo un’analisi di coscienza noi pensiamo di ottenere potenza, capacità di poter essere ciò che vogliamo, poterci trasformare in qualunque cosa. Nel denaro troviamo l’esaltazione del nostro desiderio di essere mobili. Ciò comporta uno straordinario paradosso che in questa mobilitazione universale mai così tanto l’individuo rimane solo. Il denaro dovrebbe essere una forma straordinaria di comunicazione universale. È questa l’ideologia del sistema. Noi per questa idea dovremmo essere in un universo di comunicazione, straordinariamente dialogico. La filosofia del denaro da cui siamo partiti dovrebbe portare a questo, ma in realtà e per necessità avviene l’opposto, perché là dove tutto è comune non ci può essere differenza e senza differenza individualità. Dove lo spazio della comunicazione è uguale esclude la differenza, rovescia se stesso, perché dove non c’è differenza non può esserci comunicazione perché essa avviene soltanto attraverso i distinti. Lo spazio tempo del denaro sembrerebbe mettere tutto insieme in comunicazione, ma proprio per questo non mette in comunicazione niente perché elimina la distinzione che è fondamento di ogni comunicazione. E quindi crea uno spazio, tempo, unico e individui perfettamente soli. Questa è una conseguenza su cui ormai si sta ragionando, ma non più in termini astratti, ma in esperienza quotidiana, specie di chi lavora nel terzo settore. Questo contraddice la promessa di potenza che il denaro avanzava. Se mi rende impossibile di essere riconosciuto, perché non ho un dialogo, cosa me ne faccio del mio denaro che mi prometteva potenza? Le forme nuove di disagio e di sofferenza vengono fuori e si moltiplicano anche nello spazio del benessere. La mancanza di riconoscimento, il fallimento della promessa di potenza immanente nella filosofia del denaro crea disagio. È una grande contraddizione sociale. Saperla riconoscere e sapersi rivolgere al grande ceto medio dei paesi affluenti del benessere fa emergere che ci si trova in una situazione di disagio che può essere tragica “altrettanto” di certe situazioni di estrema povertà. Se noi non riconosciamo questa situazione che si produce dal perseguire il denaro come fine che è nell’essenza della nostra civiltà, difficilmente potremmo dare risposta politica, sociale, sindacale a queste forme di disagio e di sofferenza, di malattia. Questo denaro non è interessato alla forma che assume, poiché la forma in cui si incarna è un momento del suo processo e non il suo fine, ha tempi sempre più ridotti e tutti il sistema spinge a un sistema stressato e veloce. È un processo grandioso che produce, oltre a quello detto prima, una contraddizione che diventa sempre più chiara ed evidente, un processo “ad indefinitum”. Più si riduce più mi accorgo che il ciclo non ha fine. Il denaro più uno al termine del ciclo ha senso solo nella misura in cui più rapidamente possibile si incarna in un bene e il più rapidamente possibile si disincarna, fa un nuovo giro. Sempre più indifferente il momento in cui diventa merce o valore d’uso. Deve essere sempre più soltanto denaro. E questo è un processo chiaramente senza senso. Quello che conta è che prosegua, il suo senso sta nel suo andare avanti, nel procedere. Ma questo è un esempio classico di cattivo infinito, di un processo all’infinito che non può mai essere compreso, che ci sfugge, sempre in modo più evidente, non ha senso per nessuno. Si giustifica perché di momento in momento quel denaro in qualche modo risulta accresciuto. Il fatto che il prossimo anno il prodotto interno lordo sia un po’ di più giustifica questo, perché se fosse un ‘meno’ non funzionerebbe il sistema, diventerebbe un fallimento. Noi riteniamo che lo sviluppo sia un processo all’infinito e il processo all’infinito è letteralmente un processo senza senso perché il senso cade nella determinazione, non ha un significato, non denota qualcosa. Questo che significa? Il processo all’infinito contraddice la natura finita della terra in cui viviamo. Questa e la grande contraddizione. Non è un discorso ecologistico, moralistico, ma logico. Se noi pensiamo lo sviluppo come un processo all’infinito che giustifica se stesso grazie ai successi che ottiene da momento a momento, misurati sulla sua crescita, noi affermiamo che la logica di questo processo è contraddittoria nei fondamenti rispetto al sistema finito in cui viviamo cioè la terra e le sue risorse. Un sistema finito è un sistema finito, un processo infinito è un processo infinito. Le due cose insieme non potranno mai starci. Quello che è incontrovertibile è che qui siamo di fronte a una palese contraddizione come quella che palesemente avevo detto all’inizio tra la promessa di potenza del denaro e l’isolamento a cui questa potenza condanna l’individuo. E le ricerche hanno l’importanza, culturale e filosofica, di cominciare a far ragionare in termini pratici intorno a questi dilemmi, far toccare con mano queste folli contraddizioni in cui non più tanto tranquillamente viviamo. C’è modo di governare la potenza del denaro o è il denaro che ci governa? Chiede Severino. Penso sia difficile anche per la filosofia contemplare semplicemente la contraddizione senza reagirvi. Chi pensa ad una finanza che interiorizzi questi problemi può darsi che si dedichi a utopie, o solo si infili in nicchie, ma questo significato sarebbe enorme perché è mostrare nella prassi le formidabili contraddizioni a cui mi riferivo. È un mestiere nobile, un ufficium necessario, anche dal mio punto di vista perché è reagire all’opinione al cattivo senso comune, al credere negligentemente che quel sistema sia destino o necessita. Ma è stato fatto dall’uomo, prodotto della nostra intelligenza. Mai banalizzare in termini economici perché è un risarcimento in senso spirituale della nostra volontà di potenza. È un prodotto della nostra civiltà e sta manifestando queste contraddizioni, bisogna intervenire, analizzare e poi agire e questo è davvero un compito che fa tremare, anche se necessario e chi lo svolge fa un dovere, più che un lavoro. Se non si vuole essere negligenti questo ufficium è davvero indispensabile.

Massimo Cacciari - Cesano Maderno tavola rotonda 09/12/02

Vizi Capitali / "AVARIZIA" di Umberto Galimberti

Il denaro come fine / "Così il denaro se la gode al posto di chi ce l'ha..."

L'avarizia è il più stupido dei vizi capitali perché gode di una possibilità, o se si preferisce di un potere, che non si realizza mai. Il denaro accumulato dall'avaro, infatti, ha in sé il potere di acquistare tutte le cose, ma questo potere non deve essere esercitato, perché altrimenti non si ha più il denaro e quindi il potere ad esso connesso. Questa contraddizione così evidente è dovuta al fatto che l'avaro capovolge il rapporto mezzo-fine, e invece di considerare il denaro un "mezzo" per il raggiungimento di quei "fini" che sono l'acquisizione di beni e la soddisfazione dei bisogni, considera il denaro un fine, per il possesso del quale, si deve sacrificare l'acquisizione dei beni e la soddisfazione dei bisogni e dei desideri. Il desiderio dell'avaro non va mai al di là del denaro, perché agli occhi dell'avaro il denaro non è un mezzo per qualcos'altro, ma un fine in sé, anzi la forma pura del potere che il denaro possiede alla sola condizione di non essere speso. Per l'avaro, che gode del valore definitivo e per lui assolutamente soddisfacente del potere espresso dal denaro, tutti gli altri beni si trovano alla periferia dell'esistenza, e da ognuno di essi parte un raggio diretto che porta unicamente al suo centro: il denaro, che tutti li può acquistare, ma insieme non li può acquistare, se non al prezzo di perdere il potere che il denaro porta racchiuso in sé. Il primo a cogliere a questo capovolgimento "del mezzo" in "fine" che porta all'assolutizzazione del valore del denaro è stato Marx che, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, commentando alcune pagine di Shakespeare e di Goethe, di cui era grande lettore, scrive: "Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua repulsività, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono. Il denaro, inoltre, mi toglie la pena di essere disonesto, e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti? Io, che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario? E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che mi unisce alla società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli, il vero cemento, la forza galvano-chimica della società?". Così ragiona l'avaro (e secondo Marx anche il capitalista) per il quale l'avere è il fondamento del suo essere, la garanzia della sua identità: "Io sono ciò che ho". Per lui la proprietà privata (dal latino "privare" che significa "portar via agli altri") non è finalizzata all'uso, ma al possesso. E siccome l'avaro non può usare ciò che possiede se non perdendolo e quindi perdendo la sua stessa identità, consegnata per intero al possesso del denaro, l'avaro è condannato a una vita ascetica che Marx descrive come: "Rinuncia a se stessi, rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani. Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all'osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi eccetera, tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro che né i tarli né la polvere possono consumare, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato. Tutto ciò che l'economia ti porta via di vita e di umanità, te lo restituisce in denaro e ricchezza, e tutto ciò che tu non puoi, può il tuo denaro. Esso può mangiare, bere, andare a teatro e al ballo, se la intende con l'arte, con la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico, può viaggiare; può insomma impadronirsi per te di tutto questo; può tutto comprare: esso è il vero e proprio potere. Così tutte le passioni e tutte le attività devono ridursi all'avidità di denaro". Quando il denaro diventa il fine ultimo, tutti i beni che non sono di natura economica come l'intelligenza, la cultura, l'arte, la forza, la bellezza, l'amore, per l'avaro cessano di essere valori in sé, perché lo diventano limitatamente alla loro convertibilità in denaro che, a questo punto, si presenta agli occhi dell'avaro come la forma astratta di tutti i piaceri che tuttavia non vengono goduti. Il denaro, infatti, come mezzo assoluto, rivolge lo sguardo a illimitate possibilità di godimento, e nello stesso tempo, come mezzo inutilizzato, non sfiora neppure il godimento. Siamo soliti chiamare "avari" quelle persone che non gettano via nulla, che utilizzano due volte un fiammifero, che scrivono sul retro delle pagine utilizzate, che non buttano mai via uno spago, che cercano ogni ago perduto, che consumano le medicine in scadenza anche se non ne hanno bisogno, che si rovinano lo stomaco piuttosto che lasciare il pranzo a metà. Ebbene costoro non sono "avari" perché non pensano al valore in denaro degli oggetti che non sprecano, ma proprio al loro valore "materiale", che non è affatto in proporzione al loro valore in denaro. Costoro non sono "avari", ma "parsimoniosi", perché gli avari non attribuiscono alcun valore alle "cose in se stesse", ma solo a ciò che esse "rappresentano in denaro".

24/10/07

Il denaro è forse uno degli strumenti di comunicazione più universali che esistano?

''Il denaro e' qualcosa di ideale; checché si dica, checché, comunque, lo si connetta, lo si voglia connettere con interessi detti materiali, in realtà la sostanza del denaro è ideale..."

"... ciò che rende interessante il denaro, per un filosofo, è il fatto che tutto si rovesci quando si parla di denaro Rispetto a che cosa? Rispetto agli altri beni economici. Per esempio la stessa parola realizzare. Ecco, se noi realizziamo un bene economico, per esempio un podere oppure un vestito usato, diciamo che lo realizziamo quando lo trasformiamo in denaro; in realtà dovremmo dire che lo idealizziamo, perché al posto d'una cosa collochiamo un simbolo. Ma tutto si rovescia nel linguaggio del denaro e allora la realtà diventa il simbolo anziché la cosa. Il passato e il futuro lo stesso, il valore delle cose passate, fatte diciamo degli oggetti, dipende dal passato: il valore del denaro dipende dal futuro nel senso che se domani il mondo finisse, tutto il denaro non varrebbe più nulla..."

Vittorio Mathieu

Tratto dall'intervista La filosofia del denaro - Roma, Museo Numismatica della Zecca dello Stato, martedì 11 guigno 1991

18/10/07

La "Filosofia del denaro" (1900)

La "Filosofia del denaro" (1900) è stata spesso considerata l'opera migliore di Simmel: essa pone il denaro come simbolo dell'epoca moderna , epoca caratterizzata dall'impersonalità dei rapporti umani, sempre più freddi e distaccati, per analizzare poi, nell'ultima parte dell'opera, le conseguenze negative derivanti dalla sempre maggiore diffusione di questa organizzazione monetaria della società, e riconosce nella più grave, la riduzione dei valori qualitativi a valori quantitativi (tutte tematiche già in qualche misura toccate da Marx stesso), dato che la vita diventa un continuo calcolo matematico, che porta alla prevaricazione da parte dell'attività intellettuale delle attività spirituali, in particolar modo di quelle affettive ed emotive। L'ambiente perfetto per questa società è la grande città : gli effetti che suscita nell'individuo vengono studiati ne "La metropoli e la vita mentale" L'uomo diventa un piccolo ingranaggio rispetto all'enormità di tutto il sistema, ed è costretto ad aumentare la sua attività nervosa per adattarsi ai veloci cambiamenti tra sensazioni esterne ed interne। Il tema principale della "Filosofia del denaro", è però il predominio dello spirito oggettivo su quello soggettivo , che porta sino all'alienazione totale dell'individuo: causa principale di questa situazione è la divisione del lavoro dopo l'invenzione delle macchine; l'uomo diventa parte di un processo di produzione, non si riconosce più come autore del lavoro.

Titolo: Filosofia del denaro
Autore: Simmel Georg
Editore: UTET
Data di Pubblicazione: 2003
Collana: Classici della sociologia
ISBN: 8802037906
ISBN-13: 9788802037905