14/04/10

Seneca saluta il suo Lucilio

Seneca saluta il suo Lucilio. Se sei saggio, anzi, per essere saggio, abbandona tutte queste faccende e sùbito con tutte le tue forze tendi alla saggezza; se c'è qualcosa che ti trattiene, cerca di liberartene oppure tronca di netto. "Mi trattiene," dici, "la cura del patrimonio; vorrei disporlo in modo da poter vivere di rendita, per non essere gravato dalla povertà o gravare io stesso su qualcuno." Quando parli così, sembra che tu non conosca la forza e la potenza di quel bene che vai ricercando; hai una visione complessiva di quanto giovi la filosofia, ma non distingui ancòra con sufficiente sottigliezza i particolari, non sai ancòra quanto e in quali situazioni ci sia di aiuto, come ci "soccorra", per dirla con Cicerone nelle circostanze più gravi e arrivi sino alle più piccole. Dammi retta, chiedile consiglio: ti persuaderà a non startene lì a far conti. Questo cerchi e con codesti rinvii a questo vuoi arrivare, a non temere più la povertà: ma se bisogna ricercarla? Per molti la ricchezza è stata un ostacolo alla filosofia; il povero non ha ostacoli, non ha preoccupazioni. Quando risuona la tromba di guerra, sa di non essere in pericolo; quando viene dato l'allarme per un'alluvione, cerca come mettersi in salvo, non che cosa mettere in salvo; se deve fare un viaggio per mare, non c'è clamore in porto e sulla spiaggia fermento di gente al seguito di uno solo; non lo circonda una turba di servi il cui mantenimento richiede la fecondità delle terre d'oltremare. È facile nutrire il ventre di poche persone temperanti, che non chiede altro se non di essere riempito: sfamare costa poco, saziare molto. La povertà si contenta di soddisfare solo le necessità impellenti: perché rifiuti una compagna di cui anche i ricchi, se hanno senno, seguono le abitudini? Se vuoi dedicarti allo spirito, devi essere povero o vivere come un povero. Lo studio non può essere salutare se non si ricerca la frugalità e la frugalità è una povertà volontaria. Lascia, perciò da parte queste scuse: "Non possiedo ancora quanto basta; se riuscirò a metterlo insieme, allora mi dedicherò anima e corpo alla filosofia." Ma non ci si deve procurare niente prima di quella filosofia che invece tu rimandi e hai intenzione di procurarti dopo tutto il resto. Proprio dalla filosofia bisogna cominciare. "Voglio conquistarmi il necessario per vivere", sostieni. Ma contemporaneamente impara anche a preparare te stesso: se qualcosa ti impedisce di vivere bene, non ti impedisce di morire bene. Non c'è motivo che la povertà o l'indigenza ci allontanino dalla filosofia. Chi vi aspira deve saper sopportare anche la fame; certuni la sopportarono durante gli assedi: eppure l'unico premio delle loro sofferenze era non cadere in balia dei vincitori! Quanto maggiore è il bene che ti viene promesso: una libertà perpetua, senza più timore né degli uomini, né della divinità. Anche chi ha fame deve arrivare a possedere questi beni? Ci sono eserciti che hanno sofferto la mancanza di tutto, si sono nutriti di radici e sfamati con cose ripugnanti solo a nominarle; tutto questo l'hanno sopportato per un regno e - cosa più straordinaria - apparteneva ad altri: esiterà qualcuno a sopportare la povertà per liberarsi dalla furia delle passioni? Non c'è necessità di acquisire beni prima: si può arrivare alla filosofia anche senza provviste per il viaggio. E così? Vuoi possedere tutto e poi avere anche la saggezza? Sarà il corredo di vita meno importante, e, come dire, un di più? Tu, se già possiedi qualcosa, dedicati alla filosofia (solo così puoi sapere se possiedi ormai abbastanza); se non possiedi niente, ricercala prima di qualsiasi altra cosa. "Ma mi mancherà il necessario." Anzitutto non potrà mancarti, perché la natura ha esigenze modestissime e il saggio si adegua alla natura. Ma se gli capiterà di trovarsi in condizioni decisamente critiche, sùbito abbandonerà la vita e cesserà di essere gravoso a se stesso. Se poi i suoi mezzi per tirare avanti saranno scarsi e limitati, si contenterà senza preoccuparsi o angustiarsi più del necessario e darà al suo stomaco e al suo corpo quanto occorre; sereno e felice se la riderà delle occupazioni dei ricchi e dell'affannarsi di quegli uomini che corrono dietro alla ricchezza, e dirà a se stesso: "Perché vai tanto per le lunghe? Vuoi aspettare i profitti dell'usura o gli utili del commercio o il testamento di un vecchio ricco, quando puoi diventare ricco sùbito? La saggezza procura sùbito la ricchezza: la dà rendendola superflua." Ma questo non ti riguarda: tu sei più vicino ai ricchi. Cambia epoca, avrai sempre troppo; quanto basta è uguale in ogni tempo.Potrei chiudere qui la mia lettera, se non ti avessi abituato male. Nessuno può accomiatarsi dai re Parti senza donare niente, così io non posso salutarti senza pagare. Che posso fare? Chiederò un prestito a Epicuro: "Per molti la ricchezza non ha segnato la fine delle loro miserie, ma solo un cambiamento." E non me ne stupisco: il male non sta nelle cose, ma nell'anima. Quello che ci aveva reso intollerabile la povertà, ci rende tale anche la ricchezza. Non ha importanza se fai coricare un ammalato su un letto di legno o d'oro: dovunque tu lo trasporti, porterà con sé la sua malattia; così non fa differenza se un animo infermo si trova nella ricchezza o nella povertà: il suo male lo segue. Stammi bene. Seneca, Lettere, Libro II, Ad Lucilium XVII

Si vis vacare animo, aut pauper sis oportet, aut pauper similis

A’ Pellegrini non solo basta il poco, ma dannoso è il molto. Ad un’uomo, che non istà co’ pensieri serrati fra le pareti della sua casa, come il centro chiuso nel circolo, ma sempre con le ali della mente spiegate e rivolte colà ove lo chiama il desiderio di saper nuove cose (con che e pellegrino non solo di casa sua, ma infin di sè stesso), è forse disonore e noia mancar di quello, che, come a pellegrino, gli sarebbe così d’impedimento come di peso? Di qui formò Seneca l’Aforismo: "Si vis vacare animo, aut pauper sis oportet, aut pauper similis" (Seneca – Lettere, libro II, XVII, Ad Lucilium).

Daniello Bartoli - Dell'uomo di lettere difeso e emendato
Parte prima, LA SAPIENZA FELICE ANCORA NELLE MISERIE 3